LA PROTEZIONE DEI SOGGETTI DEBOLI - UN CONTRIBUTO
La protezione dei soggetti deboli. Trust e amministrazione di sostegno
di Angelo Venchiarutti (2005)
Sommario. 1. Introduzione. –
2. Trust per disabili: linee essenziali. – 3. segue: la struttura. –
4. Il divieto di sostituzione fedecommissaria. – 5. La tutela dei legittimari
- 6. Le norme in tema di protezione degli incapaci. – 7. Trust e
amministrazione di sostegno. Riflessioni conclusive.
1. Per effetto della legge 9 gennaio 2004, n. 6 alla disciplina della protezione
civilistica dei soggetti inidonei alla cura dei propri interessi sono state
apportate significative innovazioni. Quanto agli aspetti sostanziali, si ricorda
che nel corpo del codice civile è stata inserita (anzitutto) la nuova misura
dell’amministrazione di sostegno. Si tratta di una misura che – come è stato
evidenziato da più parti – si muove in una logica del tutto divergente a quella
delle misure tradizionali dell’interdizione e dell’inabilitazione [1].
Proprio alla luce di questi mutamenti, s’intende verificare, in questo breve
saggio, l’operatività dell’istituto del trust a fini di protezione dei
soggetti disabili.
A questo riguardo si ricorda anzitutto che l’istituto del trust (la cui
comparsa sulla scena italiana è stata legittimata dalla ratifica della
Convezione dell’Aja del 1 luglio 1985) si presta ad essere utilizzato per una
serie di scopi diversi [2].
Tra essi rientra senz’altro la protezione agli interessi patrimoniali ed
esistenziali di soggetti che versano in situazioni di debolezza o disagio
personale.
Dal nostro ambiente provengono, in effetti, sempre con maggiore frequenza
segnali che confermano, stante la sua versatilità, l’utilizzo dell’istituto del
trust anche nell’ambito del diritto delle persone. La pratica conferma
anzi come il trust possa essere adoperato per raggiungere scopi
protettivi, consentendo tra l’altro di tenere riservata la situazione di
disagio dell’interessato [3].
Più nello specifico, in ragione delle sue peculiarità, il ricorso al trust
a scopo protettivo si prospetta sopratutto allorché (in ragione delle
circostanze del caso concreto) il/i disponente/i intenda/no costituire un
patrimonio “segregato” da affidare all’amministrazione del trustee
nell’interesse esclusivo del disabile. Il trust pare deputato pertanto
a candidarsi quale strumento destinato ad assicurare un’assistenza necessaria a
soggetti che versano in condizioni disagio o debolezza per una pluralità di
ragioni, anche dopo la scomparsa di genitori o congiunti. Si pensi, in
proposito, al caso di un figlio portatore di handicap, che presenti o meno
minorazioni psichiche, ed al quale i genitori intendono assicurare, dopo la loro
morte, i mezzi necessari al sostentamento, nonché all’assistenza e alle cure
indispensabili. Attraverso il ricorso al trust, i genitori potranno (ad
esempio) attribuire - già con atto tra vivi - al trustee parte del
proprio patrimonio (comprendete anche la nuda proprietà di un immobile - in
modo da conservare, vita natural durante, l'amministrazione ed il godimento del
cespite destinato a soddisfare post mortem i bisogni abitativi del
disabile superstite). In ossequio alla volontà espressa dai disponesti, il
trustee avrà il bene (o i beni) così trasferitigli soltanto per il
mantenimento, l’assistenza, la cura del figlio disabile. Il trustee, in
base sempre alle istruzioni contenute nell'atto istituivo, potrà essere tenuto
anche ad occuparsi personalmente dell'assistenza materiale del disabile, ovvero
a farsi coadiuvare per tale scopo da personale specialistico. Vale a dire che,
in ragione della necessità di provvedere alla cura sia degli aspetti
economici che di quelli personali, l’atto istitutivo del trust potrà
contenere specifiche indicazioni, oltre che sulla gestione economica del
trust fund, sulla cura personale dell’interessato - per garantire allo
stesso condizioni di vita decorose, un’assistenza qualificata, il
soddisfacimento dei propri bisogni e delle proprie inclinazioni [4].
2. Con riguardo a trusts del genere di cui si discute, pare opportuno
formulare alcune precisazioni di carattere tecnico. Quanto alla struttura, può
essere talvolta consigliabile prevedere la figura di un protector o
guardiano (che potrà essere lo stesso disponente, ovvero un familiare, o
ancora l’eventuale amministratore di sostegno del beneficiario). L’utilità
dell’intervento di un protector è presto evidenziata: in linea generale
costui sarà incaricato di vigilare sulla (condotta del trustee, e dunque
sulla) realizzazione dello scopo del trust. Più nello specifico, al
guardiano possono essere attribuiti poteri destinati a condizionare in modo
più o meno incisivo le scelte del trustee: quali, tra gli altri, il
diritto di essere sentito (in occasione del compimento di certe operazioni), il
potere di rimuovere e sostituire il trustee e ancora, sussistendo
determinate circostanze, il potere di operare verifiche, di agire nei confronti
del trustee (in caso di violazione degli obblighi nascenti dal trust),
nonché di indicare il beneficiario finale - con il limite (per il pericolo
altrimenti della stessa validità del trust) di non dotare il
protector di poteri direttivi o coercitivi nei confronti dello stesso
trustee. Va aggiunto che, nei trust in favore di soggetti deboli,
può prospettarsi una differenziazione più precisa le funzioni del trustee
e del guardiano: si propone in particolare di affidare al trustee
l’amministrazione dei beni (conferiti in trust) e al guardiano la cura personale
del soggetto disabile [5].
Qui peraltro - stante ora la disponibilità della nuova misura
dell’amministrazione di sostegno - credo che, ove le esigenze protettive lo
richiedano, sarebbe auspicabile per una più chiara ripartizione degli
interventi, il ricorso alla nuova misura di protezione, per la cura degli
interessi personali del disabile.
Nei trusts destinati a favore di soggetti deboli, può risultare utile
altresì aggiungere allo schema ordinario una particolare condizione
protettiva. In particolare, in certi ordinamenti il c. d. “protective trust”
comporta che, al verificarsi di determinati eventi (allorché il beneficiario
cerchi di trasferire i suoi diritti derivanti dal trust ai creditori, ovvero
i creditori tentino di sottoporre i redditi del beneficiario ai pagamenti
delle loro pretese), i diritti che altrimenti competerebbero al beneficiario
divengono oggetto di un trust discrezionale per il sostegno o il
mantenimento del medesimo beneficiario, ovvero del coniuge o dei discendenti, o
in mancanza dei soggetti che scomparso il beneficiario sarebbero destinatari
del reddito o dei beni del trust [6].
3.
Nell’esaminare sempre la struttura del trust, si tratta di distinguere
poi l’ipotesi nella quale il disponente - ossia il soggetto il quale intende
costituire un insieme di beni affinché le utilità siano impiegate
nell’interesse del soggetto debole – sia lo stesso interessato e quella in cui
invece a provvedere alla costituzione del trust siano i genitori
ovvero un altro congiunto del disabile [7].
Nel primo
caso, potrebbero profilarsi particolari questioni circa la validità del negozio
costitutivo in ragione delle condizioni personali del disponente (sempre che
sussista una situazione d’incapacità legale, ovvero ricorrano i presupposti di
cui all’art. 428, co.1, c.c.).
Nei casi
d’incapacità dichiarata, l’eventuale costituzione del trust sarà
realizzabile da parte del/dei rappresentante/i legale/i del beneficiario -
previo il rilascio delle necessarie autorizzazioni giudiziali (in vista di
tutelare l’interesse del beneficiario) allorché i beni destinati a confluire
nel fund siano di proprietà di un incapace legale e l’atto sia
configurabile tra quelli eccedenti l’ordinaria amministrazione. Il giudice potrà
anche prescrivere, in questi casi, un obbligo di rendiconto al trustee [8].
Dalle ipotesi appena illustrate va distinta quella nella quale nei
confronti del soggetto che intende costituire il trust sia stata
previamente attivata la nuova misura dell’amministrazione di sostegno. Stanti le
caratteristiche del nuovo istituto di cui agli art. 404 ss c.c., per valutare la
validità della costituzione del trust si tratterà, volta a volta, di
accertare (alla luce del decreto di nomina o dei successivi interventi di modica
o integrazione del giudice tutelare) l’ampiezza e la natura dei poteri conferiti
all’amministratore di sostegno - al fine verificare se un atto del genere
poteva essere realizzato dal solo beneficiario, oppure rientrava nell’ambito
dei poteri, di carattere sostitutivo o assistenziale, dell’amministratore di
sostegno (v. artt. 405, 408 e 411 c.c) [9].
Le stesse
questioni ora illustrate sono suscettibili di profilarsi con riguardo al
negozio o ai negozi di dotazione patrimoniale (successivi alla costituzione)
del trust – con la precisazione peraltro che là dove gli atti vengano
compiuti dai rappresentanti legali dell’interessato con una certa periodicità
questi possano essere previamente autorizzati dall’autorità giudiziaria [10].
4. L’istituzione di un trust ovvero i singoli atti di destinazione
patrimoniale a favore del trust sono comunque destinati a suscitare qualche
interferenza, sia con riguardo alla fase della costituzione che a quella
dell’operatività, con le situazioni ordinamentali domestiche. A questo
proposito l’art. 15 della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 fa
espressamente salvi i limiti della legge nazionale in una lunga serie di
materie (: l’elencazione delle quali non è da ritenersi peraltro tassativa).
Fra esse, per quanto concerne il tema in esame è di rilievo anzitutto il
riferimento (contenuto alla lett. c) alla materia dei testamenti, della
devoluzione dei beni ereditari, con una specifica attenzione alla legittima.
A questo riguardo, è stato messo in luce in più di un’occasione come, stante la
rigidità della normativa vigente nel nostro paese in ambito successorio, le
operazioni destinate a preordinare la situazione patrimoniale per il tempo
successivo alla propria morte sono suscettibili di dar luogo a più di una
questione. La stessa giurisprudenza – in una delle sue prime pronunce in tema
trust dopo la ratifica da parte del nostro paese della Convenzione dell’Aja
- ha escluso peraltro, con una pronuncia ammirevole nella sua linearità, che
la costituzione di un trust violi il divieto di cui all’art. 692, ult.
co., c.c. - non essendo l’istituto del trust riconducibile, sia sul
piano dei principia che delle regulae, alla sostituzione
fedecomissoria [11].
Venendo a considerare gli eventuali risvolti dannosi del trust per i
terzi, vi è poi da considerare la posizione dei legittimari. Com’è stato
opportunamente precisato - l’eventuale pregiudizio dipenderà normalmente non
già dal trust, bensì più precisamente dagli effetti della dichiarazione
di trust, ovvero dai trasferimenti al trustee. In casi del genere,
deve ammettersi che il soggetto pregiudicato possa avvalersi degli ordinari
mezzi di tutela riconosciuti dall’ordinamento (vale a dire delle disposizioni
che istituiscono un trust, o che dispongono un’attribuzione patrimoniale
a favore di un trust già costituito, allorché ledano la quota di
legittima, saranno destinate ad essere oggetto di un’azione di riduzione
ex art. 558 c.c.) [12].
Distinta
dalle precedenti è l’eventualità di costituzione in trust della quota di
legittima destinata al beneficiario dello stesso trust. Va chiarito al
riguardo che, in un caso del genere, l’intento del settlor non è certo
quello di diseredare il legittimario, il quale anzi viene designato quale
beneficiario delle rendite dei beni costituiti in trust. Allo stesso
tempo è evidente che, a seguito della costituzione del trust, al
legittimario non spetteranno poteri di natura reale sui beni costituenti la
propria quota di legittima che sono entrati a far parte del trust fund.
A costui, con il trust cioè viene sottratta la disponibilità dei beni che
spetta invece al trustee. Il beneficiario, in altri termini, non potrà
possa essere considerato erede, assumendo al più la posizione sostanziale di un
legatario delle rendite dei beni costituenti la quota di legittima [13].
Di conseguenza appare ben difficile non riconoscere anche a costui la facoltà di
esercitare l’azione di riduzione (salvo che non si ritengano applicabili le
regole sul legato in sostituzione di legittima: art. 551 c.c.): più
precisamente, si può prospettare che il beneficiario possa optare tra il
conseguimento delle rendite e la rinuncia alle stesse al fine di chiedere la
riduzione della dichiarazione di istituzione del trust, o di
trasferimento al trustee, lesiva della legittima.
5. Nonostante le limitazioni derivanti dall’art. 15 della Convezione, il
trust (anche utilizzati a fini che si esaminino in questa sede) può
produrre effetti del tutto inaccettabili per l’ordinamento interno. La
concreta tutela dei legittimari è destinata a suscitare, in effetti, una serie
di questioni. Il primo punto problematico riguarda l’individuazione del soggetto
legittimato passivo all’azione di riduzione. La struttura di quest’azione
prevede che essa sia rivolgibile contro chi ha ricevuto dal disponente nel
proprio interesse. Il trustee invece riceve, per definizione, per un
interesse altrui. Quanto al beneficiario o ai beneficiari, essi potranno
opporre che nulla riceveranno direttamente dal settlor, che quanto
riceveranno sarà deciso da trustee, e che, nel momento nel quale sono
convenuti in giudizio (se ancora l’attribuzione non è stata effettuata, o è
stata effettuata solo in parte) nulla hanno ancora ricevuto, o hanno ricevuto
solo una quota non lesiva della legittima. Ancora più problematica si profila
(com’è facilmente intuibile) la tutela dei legittimari quando si tratti di un
trust discrezionale - ossia di trust nel quale (nel rispetto
dei principi che vietano le disposizioni testamentarie e le donazioni rimesse
all’arbitrio altrui: artt. 631 e 778 c.c.) al trustee sia attribuito il
potere di designare i beneficiari e/o di determinare l’entità delle quote di
spettanza di ciascuno [14].
In casi del genere, l’erede legittimo si troverebbe cioè ad essere titolare di
un diritto che non riuscirebbe a far valere per l’eterogenità del trust
rispetto al nostro ordinamento.
La
complessità della situazione ha indotto a ricercare soluzioni che trascendono
dalla mera applicazione delle regole tradizionali. Al fine di rispettare la
normativa in tema di legittima (fatta salva dallo stesso art. 15, lett. c)
della Convenzione de L’Aja), si è precisato in particolare che sarà importante
garantire all’interessato di reagire efficacemente di fronte ad attribuzioni
patrimoniali che eccedono la quota di legittima, secondo modalità pur diverse da
quelle espressamente previste dal sistema per la riduzione delle disposizioni
lesive della legittima [15].
La soluzione
prospettata non è priva d’interesse. Pare opportuno osservare peraltro che, là
dove le ragioni dei legittimari non risultino in concreto tutelabili, altro
non resterà che concludere (alla luce dell’art. 13 della Convenzione de L’Aja)
che quel trust non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento [16].
Conclusioni
questo genere possono scoraggiare dunque il ricorso al trust (con
finalità protettive per i disabili). Per rendere meno incerta la situazione, sul
piano operativo, pare auspicabile - stante, quindi, il rischio di riduzione (o
addirittura dell’invalidità) del trust lesivo dei diritti dei
legittimari - che gli esperti dell'arte stipulatoria includono clausole di
salvaguardia nell'atto istitutivo del trust (ossia disposizioni che
sostituiscano automaticamente un'attribuzione, potenzialmente lesiva di
legittima, con altra priva di potenzialità lesiva).
In linea più
generale, va ricordato poi che soluzioni diverse rispetto a quelle fin qui
illustrate sono propettabili – in considerazione soprattutto delle mutate
condizioni sociali (ove sempre più di frequenza si riscontra la sopravvivenza
di figli disabili ai genitori), nonché del complesso quadro normativo, presente
sia a livello nazionale che regionale, mirante ad assicurare ai soggetti
portatori di handicap una vita di relazione sempre più adeguata allo loro
personali esigenze. Com’è stato lodevolmente evidenziato, tutte le
confliggenti pretese (appena descritte) sono destinate a cadere là dove
l’istituzione del trust e i trasferimenti al trust siano
considerati come l’adempimento di un’obbligazione legale gravante sui genitori,
se non anche sugli altri componenti della famiglia, nei confronti di un figlio o
di un congiunto disabile [17].
6. Sempre
alla luce dell’art. 15 della Convezione consideriamo ora le norme (di conflitto
del foro) in materia di protezione di minori e incapaci (lett. a). Nell’ipotesi
di beneficiario del trust incapace dichiarato, si deve dedurre pertanto
che le disposizioni contenute nel trust debbano rispettare le norme
inderogabili contenute nei titoli X e XII del libro I del c.c..
A questo
riguardo viene in rilievo, anzitutto, la disciplina autorizzattiva prevista
per il compimento da parte dei rappresentate legale dell’incapace degli atti
eccedenti l’amministrazione ordinaria (v. art. 374 e 375 c.c.). Dopo l’entrata
in vigore della Convenzione dell’Aja (nel nostro sistema), la dottrina che si è
occupata del tema si pronunciata, in via generale, per la necessità
dell’autorizzazione anche in capo al trustee (allorché ricorrano i
presupposti oggettivi). Per consentire una gestione del trust
efficiente e adeguata agli scopi e alle finalità dello stesso istituto
quest’’impostazione figura però troppo rigorosa [18].
Del resto è stato messo in rilievo come dalla lettera dello stesso art. 15
secondo comma (là dove attribuisce al giudice la facoltà di realizzare gli
obiettivi del trust con altri mezzi giuridici) emerge l’intento di
mitigare le conseguenze negative per il riconoscimento del trust che
potrebbero derivare da una rigida applicazione delle norme imperative destinate
ad assumere rilevanza nei vari ordinamenti. Si è aggiunto poi che per quanto
riguarda il nostro ordinamento, segnali per un distacco (quantomeno parziale)
dalla disciplina operante in tema di amministrazione di beni dell’incapace
vengono desunti, alla luce della prevalente interpretazione, sia dall’art. 169
c.c. (che in materia di fondo patrimoniale consente di derogare alla regola
che, in presenza di figli minori, subordina all’autorizzazione del giudice
tutelare la possibilità di compiere taluni atti di disposizione) che
dall’art. 356 c.c. – ove si prevede che il disponete di una donazione o di un
testamento a favore di un minore (o di un interdetto) possa nominare un
curatore speciale (per l’amministrazione dei beni donati o lasciati in via
testamentaria), con la possibilità altresì di inserire nell’atto di
disposizione una clausola destinata ad esonerare lo stesso curatore dalla
richiesta delle autorizzazione giudiziali previste appunto negli artt. 374 e
375 c.c. [19].
Un’interpretazione sistematica della legge dell’art. 15 della Convezione
dell’Aja conduce allora ad ipotizzare, in via generale, un trust con
beneficiari incapaci contenente una clausola destinata ad esonerare il
trustee dalla richiesta delle autorizzazioni giudiziali per il compimento
di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione su beni del trust fund [20].
Ad esse rimarrebbe soggetto invece lo svolgimento dell’attività di
straordinaria amministrazione relativa ai diritti del beneficiario incapace,
totale o parziale, pur aventi fonte nel trust.
7. E’ tempo di formulare qualche considerazione conclusiva. Al fine di
inquadrare il contesto nel quale il trust per i soggetti deboli è
destinato a collocarsi, pare opportuno ricordare che, fino a qualche tempo fa,
l'ordinamento italiano per la protezione organizzata dei soggetti disabili si
limitava ad offrire strumenti giuridici quali l'interdizione e
l'inabilitazione. Come si è evidenziato in apertura, quadro normativo oggi
invece figura alquanto diverso rispetto al passato. La legge 9 gennaio 2004, n.
6 (relativa all’ ”Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice
civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e
modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice
civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di
attuazione, di coordinamento e finali”) ha apportato importanti modifiche
alla disciplina degli istituti relativi alla protezione dei soggetti inidonei
alla cura dei propri interessi. L’innovazione più significativa è
rappresentata dall’inserimento nel corpo del codice civile della nuova misura
dell’amministrazione di sostegno. In questa sede, si ricorda brevemente che essa
consente di attivare nei confronti di una pluralità di persone un sostegno
protettivo, caratterizzato da ampia elasticità e versatilità, senza che la
capacità di agire dell’interessato venga minata da pronunce ablatorie. Le prime
applicazioni dopo la riforma del titolo XII del libro I del c.c. confermano le
potenzialità del nuovo istituto a proporsi come una misura, a largo spettro di
applicazione (sia per quanto riguarda la categoria dei potenziali beneficiari
che le circostanze nelle quali l’intervento di sostegno o assistenza è in
concreto attivale), caratterizzata da grande versatililità e adattabilità
(alle mutate esigenze protettive del beneficiario), nonché connotata da un
marcata semplicità nelle procedure di applicazione [21].
Pure di
fonte alla nuova situazione deve ritenersi che comunque sussista uno spazio
per il ricorso al trust a fini protettivi, anche autodichiarati. Basta
pensare al fatto che la crescente longevità delle persone, anche portatrici di
handicap, rende possibile che costoro finiscano per sopravvivere anche a
lungo ai propri familiari e congiunti. Più in generale, l’invecchiamento della
popolazione è destinato a generare (in più di un’occasione) condizioni di
progressiva invalidità che richiedono un’assistenza costante. Si tratta di
situazioni nelle quali, il trust può rivelarsi tutt’ora utile allorché
s’intenda costituire a fini protettivi del beneficiario un patrimonio
”segregato”. Dall’altro canto, lo strumento civilistico della sostituzione
fedecommissaria non pare adatto a rispondere a esigenze del genere (come del
resto testimonia la scarsa fortuna riscossa dall’istituto nell’applicazione
pratica) – non foss’altro per il fatto che esso è attivabile da un
limitatamente categoria di soggetti (genitori ascendenti coniuge) nei confronti
di una circoscritta schiera di soggetti (un interdetto, ovvero un minore
d’età, le cui condizioni di abituale infermità mentale lascino presumere la
pronuncia dell’interdizione). Il fedecommesso inoltre appartiene alle
fattispecie ereditarie, mentre il trust è ordinariamente istituito per
atto tra vivi. La misura civilistica non consente poi di dar luogo a quella
segregazione patrimoniale che assai efficacemente può salvaguardare le ragioni
di un soggetto debole. La separazione patrimoniale delineata dall'art. 695
cod. civ. (secondo cui i creditori personali dell'istituito possono agire
soltanto sui frutti dei beni che formano oggetto della sostituzione) non ha
difatti quel rilievo bilaterale che presenta nel trust, atteso che i beni
fedecommessi e i loro frutti sono pur sempre soggetti all'azione esecutiva dei
creditori personali del de cuius.
Dell’esigenza di fornire mezzi alternativi a quelli della tradizione
civilistica costituisce testimonianza le iniziative legislative volte a
introdurre nel nostro ordinamento una più precisa e articolata disciplina del
trust a favore di soggetti portatori di handicap (cfr. proposta di
legge C. 5494, Norme in materia di
trust a favore
di soggetti portatori di handicap -
riproposta (sostanzialmente negli stessi termini della precedente) nella
presente legislatura: cfr. C. 2733, Norme in materia di trust a favore
di portatori di handicap). Le norme civilistiche proposte riguardano
principalmente: la durata, che non può essere inferiore a quella della vita dei
beneficiari; l'obbligatoria presenza della figura del protector o
“guardiano del trust”, al quale i trustee devono rendere conto; e
soprattutto una condizionata impermeabilità alla ordinaria disciplina della
successione legittima. La proposta (non giunta ad approvazione nel corso della
precedente legislatura (durante la quale era stata posta in discussione assieme
alla progetto di legge diretto a dotare di regole appropriate l'operatività dei
trust in generale) durante la presente legislatura è stata assorbita -
senza però lasciare traccia - nel d.d.l. che è sfociato nella legge n. 6/2004
(la quale ha introdotto nel nostro ordinamento appunto la disciplina
dell’amministrazione di sostegno). Né maggior fortuna ha riscosso (per ora) la
proposta volta a varare (presumibilmente sulla falsariga della disciplina
spagnola contenuta nella Ley 18 novembre 2003, n. 41 che consente, tra l’altro,
la creazione di un patrimonio di destinazione a favore delle persone con
disabilità) [22]
una disciplina sulla destinazione dei beni in favore di soggetti portatori di
gravi handicap per favorirne l’autosufficienza (cfr. Proposta di legge C. 3972,
Disciplina della destinazione di beni in favore di soggetti portatori di
gravi handicap per favorirne l’autosufficienza).
L’intento,
con tutta evidenza, era di mettere a punto una disciplina civilistica
destinata a recepire gli spunti in tema di protezione e sostegno delle persone
disabili, già così diffusamente presenti nell’articolata normativa
pubblicistica vigente, sia a livello nazionale che regionale. Il ricorso al
trust a favore di soggetti deboli figura comunque ugualmente realizzabile.
Per la costituzione e la regolamentazione di un trust (anche a favore
di soggetti disabili), rimane da seguire la strada offerta dalla ratifica della
Convenzione dell’Aja del 1985. Il merito di un intervento legislativo sarebbe
stato quello di fornire attraverso una fonte di diritto positiva un modello
operativo interno dell’istituto in un settore nel quale le difficoltà di
riferirsi ad una legge straniera possono rivelarsi maggiori, e più gravose da
superare, che in altri ambiti.
[1]
Tra i numerosi commenti della legge n. 6/2004, tra gli altri, v. S.
Patti (cur.), L’amministrazione di sostegno, Milano, 2005; G.
Ferrando (cur.), L'amministrazione di
sostegno, Milano, 2005; G. Bonilini e A. ChizziniL'amministrazione di sostegno,
Padova, 2004; G. Autorino Stanzione e V. Zambrano (cur.),
Amministrazione di sostegno. Commento alla legge 9 gennaio, n. 6,
Milano 2004; E. Calò, L’amministrazione di sostegno, Milano,
2004; M. Dossetti, M. Moretti e C. Moretti, L’amministrazione di
sostegno e la nuova disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione,
Milano, 2004, nonché S. Delle Monache, Prime note sulla figura
dell’amministrazione di sostegno. Profili di diritto sostanziale, in
Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 29 ss; F. Ruscello,
“Amministrazione di sostegno” e tutela dei “disabili”. Impressioni
estemporanee su una recente legge, in Studium Iuris, 2004,
149 ss; U. Morello, L’amministrazione di sostegno (dalle regole ai
principi), in Notariato, 2004, 225 ss; G. Campese,
L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in
materia di interdizione e di inabilitazione, in Fam. dir.,
2004, 126 ss; S. Vocaturo, L’amministrazione di sostegno: la dignità
dell’uomo al di là dell’handicap, in Riv. not., 2004, 241 ss.
R. Buttitta, L’incapacità naturale e l’amministratore di sostegno,
in Vita not., 2004, 483 ss: Mentre per la giurisprudenza, v.,
fra le altre, Trib. Pinerolo decr. 4.11.2004, e 9.11.2004, in Nuova
giur. civ. comm., 205, I, con nota di A. Venchiarutti.
[2]
Sull’operatività del trust nell’ordinamento civilistico, per
tutti, M. Lupoi, I trust nel diritto civile, in Trattato di
diritto civile, dir. da R. Sacco, Torino, 2004
[3]
Per la nostra dottrina, tra gli altri, G. Garrone, Soggetti deboli
in famiglia e trust quale tutela etica, Trust § AF,
2004, 310 ss; A. Palazzo, Autonomia privata e trust
protettivi, in Trust § AF, 2003, 192 ss; S. Bartoli, Trust
con beneficiari incapaci e rispetto delle nostre norme imperative
in materia, Trust § AF, 2003, 560 ss; P. Amenta. Trust a
protezione di disabile, in Trust § AF, 2000, 616 ss.
[4]
V., quale esemplificazione, come in trust costituito con lo
scopo di assistere una persona incapace di intendere e volere, si
stabilisce che il beneficiario in nessun caso dovrà trascorrere la
propria esistenza in istituti di assistenza per invalidi, v. Atti di
trust in
www.il-trust-in-italia.it.
[5]
Su questo punto, v. G. La Torre, Trust in favore dei disabili,
in
www.il-trust-in-italia.it.
[6]
Per la normative inglese, v. English Trust Act 1925, § 33.
Sensibilmente diverso dal protective trust è il c.d.
spendthrift trust, che costituisce una tipica creatura del diritto
nordamericano: in questo caso in capo al beneficiario, è posto un
vero e proprio vincolo di intrasferibilità, vuoi di origine volontaria
che normativa, dei suoi diritti derivanti da trust: sul tema, per
la dottrina italiana, M. Lupoi, Trusts, Milano, 2001, 220
[7]
M. R. Spallarossa, Trust e soggetti deboli, in M. Dogliotti e A.
Braun, Il trust nel diritto delle persone e della famiglia,
Milano 2003, 143 ss
[8]
Per alcune opportune precisazioni, v. I. Lipparini, Trust, interesse
del minore e ruolo del giudice tutelare, Trust & AF, 2004,
534; M. Dogliotti, Trust e amministrazione dei beni del minore,
in Trust & AF, 2004, 212 ss; F.M. Galanti, Trust con
disponente minore, in M. Dogliotti e A. Braun, Il trust
nel diritto delle persone e della famiglia, cit., 201 ss In
giurisprudenza, in linea indicativa, Trib. Perugia decr. 16.4.2002, in
Trust & AF, 2000, con il quale il G.T. del tribunale della
città umbra autorizza la madre, separata ed esercente la potestà, di
una minorenne, l’atto di adesione al trust di cui già figuravano
disponesti e beneficiarie le sorelle della minore; Trib. Bologna
3.12.2003, in Trust & AF, 2004, 234,: in questo caso il G.T.
autorizza la richiesta di costituzione di trust ad esclusivo
beneficio del figlio avanzata dai genitori avente ad oggetto i beni
lasciati in legato dal nonno paterno del minore; nonché Trib. Firenze
8.4.2004, Trust & AF, 2004, 567.
[9]
Sul tema, si consenta il rinvio a A.Venchiarutti, Gli atti del
beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Questioni di validità,
in G. Ferrando, L’amministrazione di sostegno, Milano 2005, 159
ss.
[10]
Per altro un diverso profilo, sarà da ritenersi annullabile il
conferimento in trust da parte di un coniuge, senza il consenso
dell’altro, di immobili oggetto della comunione legale: T. Bologna,
1.10.2003, Foro it., 2004, I, 1295, con nota F. Di Ciommo.
[11]
Per la giurisprudenza, Trib. Lucca 23.9.1997, Foro it., 1998, 2,
2007, confermato da App. Firenze, 9 agosto 2001, in Trust &
AF, 2002, 244; per tutti, in via generale, M. Lupoi, Introduzione
ai trusts: diritto inglese, convenzione dell'Aja, diritto italiano,
Milano, 1994, e più specificatamente, Id., Aspetti
gestori e dominicali, segregazione: “trust” e istituti civilistici,
in Foro it., 1998, I, 3391 ss.
[12]
Su questi temi, tra gli altri, v. E. Moscati, Trust e tutela dei
legittimari; G. De Nova, I trust, la collazione e la tutela dei
legittimari, entrambi in
www.il-trust-in-italia.it; nonché G. De Nova, Trust e
successioni mortis causa, in Jus, 1997, 273 ss.
[13]
In termini, v. Trib. Lucca 23.9.1997, cit. – confermato da App.
Firenze, 9 agosto 2001, cit.
[14]
Per maggiori dettagli, v. E. Moscati, Trust e tutela dei
legittimari, cit.).
[15]
Per ulteriori argomentazioni, si rinvia a G. De Nova, I trust, la
collazione e la tutela dei legittimari, cit.; nonché più in
generale, a U. Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni
indirette che hanno leso la quota di legittima, in Studi Mengoni,
I, Milano 1995, 131 ss.
[16]
V amplius M. Lupoi, Lettera ad un notaio conoscitore dei
trust, in Riv not., 2001, 1161 ss
[17]
In questo senso, M. Lupoi, I trust nel diritto civile, cit.,
336; per la giurisprudenza, cfr. Cass. 19.12.2001, n. 16027, in
Fam. dir. 2002, 240, ove si stabilisce che “In sede di separazione
personale tra coniugi, l’assegnazione della casa coniugale al coniuge
non proprietario convivente con il figlio maggiorenne handicappato può
essere disposta in funzione dell’interesse del figlio medesimo,
totalmente invalido, a conservare il proprio ambiente domestico e il
luogo degli affetti, trovando specifica legittimazione nel dato
normativo fornito dall’art. 155, 4º comma, c.c. (nella specie, la
suprema corte ha confermato la sentenza dei giudici di merito, i quali,
in situazione di sostanziale parità reddituale tra i coniugi, avevano
assegnato la casa coniugale, di proprietà del marito, alla moglie, in
ragione della sua convivenza con la figlia, riconosciuta invalida al
cento per cento, in quanto affetta da autismo con grave deficit
dell’espressione verbale e grafica, e quindi sostanzialmente
assimilabile ad un minore)”; Cass., 1.12.2003, Ced rv. 228262 (m), che
afferma che “In tema di violazione degli obblighi di assistenza
familiare, lo stato di bisogno e l’obbligo del genitore di contribuire
al mantenimento dei figli minori non vengono meno quando questi siano
assistiti economicamente da altri, anche in relazione alla percezione di
eventuali cespiti reddituali relativi ad elargizioni a carico della
pubblica assistenza (in applicazione di tale principio, la corte ha
ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano
configurato il reato nella arbitraria riduzione da parte del genitore
dell’assegno per il mantenimento del figlio minore handicappato
stabilito in sede di separazione dei coniugi, ritenendo non sufficienti
ad elidere lo stato di bisogno la percezione da parte del minore di una
modesta pensione di invalidità e la circostanza che fosse assistito
economicamente dal genitore affidatario, che svolgeva un’attività
lavorativa.
[18]
V. già M.B. Deli, sub art. 15, in A. Gambaro, A. Giardina e G.
Ponzanelli, Convenzione relativa alla legge sui trusts e al loro
riconoscimento, in Nuove leggi civ. comm., 1993, 1286 ss.
[19]
Si rinvia, per altre precisazioni, S. Bartoli, Trust con beneficiari
incapaci e rispetto delle nostre norme imperative in materia, in
Trust, 2003, 562 ss.
[20]
A suo tempo, il Trib. Monferrato, 13.4.1984, Giur. it., 1986, I,
754, era giunto a stabilire, in considerazione delle caratteristiche
dell’istituto, che “ … allorquando venga dal testatore nominato un «executor
trustee» il giudice italiano non è competente ad emettere provvedimenti
di autorizzazione a vendere, essendo divenuto proprietario mortis
causa dei beni lo stesso «executor trustee».
[21]
Per commenti maggiormente approfonditi, si rinvia ai lavori citati alla
nota 1.
[22]
Cfr., per i commenti in lingua italiana, S. M. Santisteban, La legge
spagnola di protezione patrimoniale dei soggetti portati di handicap.
Un avvicinamento al trust?, in Trust & AF, 2004, 388
ss.
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