RICONOSCIMENTO DI DEBITI FUORI BILANCIO - PROCEDIMENTO

Consiglio di Stato sez. V 4/8/2014 n. 4143
Silenzio della p.a. sulla richiesta di riconoscimento del debito fuori bilancio
1. Silenzio della p.a. – ricorso avverso il silenzio – ex art. 31 c.p.a. – ammissibilità – presupposti
2. Enti locali – riconoscimento di debiti fuori bilancio – disciplina – finalità – procedimento – fasi
3. Enti locali – riconoscimento di debiti fuori bilancio – istanza – silenzio della p.a. – illegittimità
1. Nei giudizi sul silenzio dell’amministrazione, il giudice amministrativo non può in linea di massima andare oltre la declaratoria di illegittimità dell’inerzia e l’ordine di provvedere; di conseguenza, gli resta in generale precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi all’amministrazione stessa e esercitando una giurisdizione di merito di cui egli non è titolare in tale materia; peraltro, egli può sempre nell’ambito del giudizio sul silenzio conoscere dell’accoglibilità dell’istanza nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati per i quali non ci sia da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni, fermo restando il limite dell’impossibilità di sostituirsi all’amministrazione; e - ancora - nell’ipotesi in cui l’istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’amministrazione a provvedere laddove l’atto espresso non potrebbe che essere di rigetto (così, ad es., Cons. Stato, sez. IV, 13.12.2013, n. 5994). In tale contesto, pertanto, può dirsi che l’art. 2 della legge 11.2.2000, n. 205, laddove ha introdotto l’art. 21-bis della legge 6.12.1971, n. 1034 in materia di ricorso avverso il silenzio serbato dall’amministrazione, poi confluito nell’art. 31 c.p.a., non ha inteso stabilire un rimedio di carattere generale e - quindi - esperibile in tutte le ipotesi di comportamento inerte dell’amministrazione e sempre ammissibile indipendentemente dalla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, ma soltanto un istituto giuridico relativo all’esplicazione di potestà pubblicistiche correlate alle sole ipotesi di mancato esercizio dell’attività amministrativa discrezionale (cfr., puntualmente, Cons. Stato, sez. V, 27.3.2013, n. 1754). Detto altrimenti, perché sia consentito il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione è essenziale che esso riguardi l’esercizio di una potestà amministrativa e che la posizione del privato si configuri come interesse legittimo, potendo infatti il silenzio-rifiuto formarsi esclusivamente in ordine all’inerzia dell’amministrazione su una domanda intesa ad ottenere l’adozione di un provvedimento ad emanazione vincolata ma di contenuto discrezionale (così Cons. Stato, sez. V, 26.9.2013, n. 4793).
2. La disciplina contenuta negli artt. 191 e 194 del t.u. approvato con d.lgs. 267/2000 impone agli enti locali di valutare e apprezzare eventuali prestazioni rese in loro favore, ancorché in violazione formale delle norme di contabilità; e – come già evidenziato da questa stessa sezione con sentenza n. 6269 dd. 27 dicembre 2013 – la disciplina medesima presenta ampi tratti di novità rispetto a quella previgente, contenuta nell’art. 35, comma 4, del d.lgs. 25.2.1995, n. 77 e che prevedeva unicamente, in caso di acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi di contabilità, che “il rapporto obbligatorio intercorre[sse], ai fini della controprestazione, e per ogni effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che (aveva) consentito la fornitura”: e ciò in un contesto nel quale si reputava che l’adozione di atti di riconoscimento di debito a sanatoria di impegni assunti e non registrati costituiva comunque sintomo di non corretta gestione finanziaria e si poneva al di fuori della vigente normativa giuscontabilistica, non offrendo le garanzie poste a presidio degli interessi erariali (così, ad es., Corte dei conti, sez. contr., 3.5.1991, n. 50). Per effetto dell’art. 4 del d.lgs. 15.9.1997, n. 342, trasfuso nell’art. 191 del t.u. approvato con d.lgs. 267 del 2000 è stato - per contro e, per l’appunto - introdotto il principio della validità del rapporto obbligatorio direttamente costituito con l’amministrazione, a condizione peraltro che la prestazione o il bene fornito siano riconoscibili come dei debiti fuori bilancio ai sensi dell’anzidetto art. 194 del medesimo t.u. e, quindi, che siano passibili di dichiarazione di utilità da parte dell’ente locale, con conseguente previsione di spesa - anche fuori bilancio - nel caso in cui il relativo impegno non sia stato ancora previsto. L’ordinamento persegue in tal modo il fine di garantire il riconoscimento di debiti per prestazioni e servizi resi in favore dell’ente locale che, benché privi di titolo, siano considerati utili per l’amministrazione, recependo al riguardo una progressiva elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione (cfr., ad es., sez. civ. III, 3.8.2000, n.10199; sez. civ. I, 2.4.2009, n. 8044 e 26.3.2009, n. 7298) e della stessa Corte dei conti (cfr., ad es., Sez. contr., 28 luglio 1995 n. 101) e stabilendo che sono permanentemente sanabili i debiti derivanti da acquisizioni di beni e servizi, relativi a spese assunte in violazione delle norme giuscontabili per la parte di cui sia accertata e dimostrata l’utilità e l’arricchimento che ne ha tratto l’ente locale, sempreché rientrino nelle funzioni di competenza dell’ente. Il riconoscimento del debito fuori bilancio è diretto esclusivamente a sanare irregolarità di tipo contabile, rispondendo all’interesse pubblico alla regolarità della gestione finanziaria dell’ente, ma non può in alcun modo sopperire alla mancanza di una obbligazione validamente sorta: al contrario, è il diritto, quando controverso oggetto di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria, a costituire il presupposto per l’iscrizione fuori bilancio (così, ad es., Cons. Stato, sez. V, 29.12.2009, n. 8953). Il riconoscimento medesimo costituisce un procedimento comunque dovuto, come si desume dall’art. 194 del t.u. approvato con d.lgs. n. 267 del 2000, il cui esito non è peraltro vincolato e al quale l’amministrazione non può pertanto sottrarsi attraverso una semplice e immotivata comunicazione di un qualunque ufficio, essendo invece necessario un procedimento ad hoc (così, puntualmente, la citata sentenza di Cons. Stato, sez. V, 27.12.2013, n. 6269), la cui proposta va formulata al responsabile del servizio competente per materia che dovrà accertare l’eventuale, effettiva utilità che l’ente ha tratto dalla prestazione altrui: concetto, questo, di carattere funzionale, essendo l’arricchimento un concetto derivato, ossia teso alla misurazione dell’utilità ricavata (così Cass. civ., sez. I, 12.7.1996, n. 6332). La proposta è seguita da un’attività istruttoria formalizzata dal responsabile anzidetto in una relazione che contiene i riferimenti della situazione debitoria dell’ente eventualmente da riconoscere e che illustra - o meno - la sussistenza dei requisiti oggettivi richiesti per il legittimo riconoscimento di ciascun debito, ovvero l’utilità e l’arricchimento per l’ente di servizi acquisiti nell’ambito dell’espletamento di servizi di competenza (cfr. sent. n. 6269 del 2013 cit.). Sulla relazione si pronuncia, quindi, l’organo consiliare con propria deliberazione, la cui adozione conclude il procedimento.
3. È illegittimo il silenzio-rifiuto serbato dalla provincia sulla richiesta rivolta ad ottenere il riconoscimento, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, del debito fuori bilancio con riferimento a lavori di somma urgenza di sistemazione dell’alveo di un fiume.

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